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Santi del 9 Novembre

Il mio Santo > I Santi di Novembre

*Sant'Agrippino di Napoli - Vescovo (9 novembre)

sec. III
A Napoli Sant'Agrippino era popolare quasi quanto San Gennaro. Secondo la tradizione, Agrippino fu il sesto vescovo della diocesi partenopea, e uno scrittore del IX secolo lo elogia così: «Innamorato della patria, difensore della città, egli non cessa di pregare ogni giorno per noi, suoi servitori».
Di lui non ci sono molte notizie. Visse alla fine del III secolo, e la traslazione delle reliquie avvenne nella cosiddetta Stefania, cioè nella chiesa costruita nel V secolo per far posto alla nuova cattedrale. In precedenza le reliquie di Sant'Agrippino avevano riposato nelle catacombe di San Gennaro. Furono ritrovate dal cardinale Spinelli nel 1774. (Avvenire)
Etimologia: Agrippino = diminutivo di Agrippa
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Napoli, Sant’Agrippino, vescovo, che fu tra i primi che antichi documenti dichiarano difensore della città.
Secondo gli storici, dieci o undici secoli fa, a Napoli, Sant'Agrippino era quasi altrettanto popolare del celebre San Gennaro.
Non sappiamo quanto fosse vivo, allora, il culto per il Martire dal prodigioso sangue: ma l'accostamento a San Gennaro e la quasi pari popolarità con lui sono titoli di elogio abbastanza
significativi sul conto del personaggio di Sant'Agrippino, oggi ricordato.
Chi era questo Santo, chiamato con il diminutivo del nome di Agrippa? Secondo la tradizione, Agrippino fu il sesto Vescovo della diocesi partenopea, e uno scrittore del IX secolo fa di lui questo poetico elogio: "Innamorato della patria, difensore della città, egli non cessa di pregare ogni giorno per noi, suoi servitori.
Egli accresce assai l'esercito di coloro che credono nel Signore, e li riunisce in seno della Santa Madre, la Chiesa.
A causa di ciò, merita di udire le parole: "Coraggio, bravo servitore; poiché sei stato fedele nelle piccole cose, io ti darò autorità sul molto; entra nella gioia del tuo padrone".
Queste ultime parole sono tratte da una parabola evangelica: esattamente quella dei talenti consegnati da un padrone ai suoi servi, e da uno fatti fruttare, mentre dall'altro sterilmente nascosti.
L'elogio del Vescovo Agrippino è alquanto generico, e dimostra come anche l'antico autore sapesse ben poco di preciso su questo personaggio.
Di molti altri vescovi esemplari infatti, onorati o meno come Santi, si poteva dire che erano stati "innamorati della loro patria, difensori della loro città", e intenti ad accrescere l'esercito di Cristo.
Esiste però, nelle parole dell'ignoto scrittore, un particolare calore, un intento di lode che dimostra come la memoria di Sant'Agrippino, pur in assenza di particolari più precisi, avesse particolare risalto tra quello di altri Vescovi napoletani. Si capisce, insomma, come la venerazione di questo Santo fosse, un tempo, eccezionalmente fervida.
Venendo ai dati più propriamente storici, si può dire soltanto che il Vescovo Agrippino visse alla fine del 111 secolo, e non fu Martire.
Altre notizie fanno difetto, tranne quelle della successiva traslazione delle reliquie di Sant'Agrippino nella cosiddetta Stefania, cioè nella chiesa costruita a Napoli nel V secolo per far posto alla nuova cattedrale. In precedenza, le reliquie di Sant'Agrippino avevano riposato in un oratorio, nelle Catacombe napoletane di San Gennaro.
Mille anni dopo, nel 1744, il cardinale Spinelli fece ricerca delle reliquie dell'antico Vescovo. Trovò un vaso di marmo con la seguente scritta: "Reliquie incerte che si pensa siano il corpo di Sant'Agrippino". Reliquie incerte, che soltanto un più approfondito esame o nuovi documenti potranno far assegnare con certezza al Vescovo Agrippino, Pastore di incerta santità, un tempo venerato quasi alla pari con San Gennaro, perché innamorato della sua città e protettore del popolo napoletano.
(Autore: Archivio Parrocchia – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Agrippino di Napoli, pregate per noi.

*Beato Alberone - Priore dell'Abbazia Cistercense di Duien (9 novembre)
XII sec.

Il Beato Alberone è il secondo abate dell’antica abbazia cistercense di Duinen nelle Fiandre.
Governò il monastero solo per due anni, tra il 1153 e il 1155.
La tradizione ci ricorda che il Beato Alberone, dopo la sua rinuncia al governo dell’abbazia, morì a Chiaravalle e fu sepolto accanto al beato Roberto di Bruges.
Il Beato Alberone, anche se attualmente non è soggetto di alcun culto, era festeggiato e ricordato il 9 novembre, sia dallo storico Chrysostomo Henriques nel suo “Menologium cisterciense notationibus illustratum”  che nel “Kalendarium Cisterciense”.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Alberone, pregate per noi.

*Beata Elisabetta della Trinità Catez - Carmelitana (9 novembre)
Bourges, Francia, 18 luglio 1880 - Digione, 9 novembre 1906
Elisabeth Catez nacque il 18 luglio 1880 nel Campo d'Avor presso Bourges (Francia), e fu battezzata quattro giorni dopo. Nel 1887 la famiglia si trasferì a Digione. Quello stesso anno muore il papà.
Il 19 aprile 1890 riceve la Prima Comunione, l'anno dopo il sacramento della Confermazione. Nel 1894 emise il voto di verginità. Sentendosi chiamata alla vita religiosa chiese alla madre il permesso di poter entrare al Carmelo, ma questa le oppose un netto rifiuto, finché, non fu costretta a cedere ma a condizione che vi entrasse al compimento della maggiore età.
Il 2 agosto 1901 entrava nel Carmelo di Digione dove l'8 dicembre 1901 vestì l'abito religioso. L'11 gennaio 1903 emise la Professione religiosa.
Il 21 gennaio dello stesso anno compì la cerimonia della velazione monastica. I cinque anni della sua vita religiosa furono una continua ascesa verso Dio ed il Signore purificò la sua anima con sofferenze spirituali, e con sofferenze corporali attraverso il terribile morbo di Addison che la portò alla morte il 19 novembre 1906.
Martirologio Romano: A Digione in Francia, Beata Elisabetta della Santissima Trinità Catez, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, che sin dalla fanciullezza cercò e contemplò nel profondo del cuore il mistero della Trinità e, ancora giovane, tra molte tribolazioni, giunse, come aveva desiderato, all’amore, alla luce, alla vita.
La bibliografia che parla di questa beata è immensa, segno di una incredibile spiritualità tutta da scoprire, meditare, analizzare; maturata nel chiuso di un Carmelo, contemporanea di quell’altra grande colonna dell’ascesi carmelitana, che fu santa Teresa del Bambino Gesù di Lisieux (1873-1897).
Elisabetta Catez nacque nel campo militare di Avor presso Bourges (Francia) il 18 luglio 1880, poi trasferita con la famiglia prima ad Auxonne e poi a Digione, dove nell’ottobre 1887 rimase orfana di padre.
Dotata di un carattere piuttosto duro, volitiva, impetuosa, ardente, estroversa, dovette lavorare a lungo e un poco alla volta per dominarsi o come diceva lei, di “vincersi per amore”, attirata da Cristo, particolarmente a cominciare dalla Prima Comunione, ricevuta il 19 aprile 1891 e con la cresima il 18 giugno successivo.
Senza frequentare mai scuole vere e proprie, ebbe i primi rudimenti del sapere, dello scrivere e delle scienze da due istitutrici, con una infarinatura di letteratura. Però fin da piccola frequentò il conservatorio di Digione, dove trovò nella musica una forma di donazione e di preghiera, ottenne i primi premi di esecuzione al pianoforte.
In piena adolescenza, cominciò a sentirsi attratta da Cristo e – racconta lei stessa – “senza attendere mi legai a Lui con il voto di verginità; non ci dicemmo nulla, ma ci donammo l’uno all’altra in un amore tanto forte, che la risoluzione d’essere tutta sua divenne per me ancor più definitiva”.
Sentì risuonare nel suo spirito la parola “Carmelo” per cui non ebbe altro pensiero che ritirarsi in tale sacra struttura.
Ma trovò una forte opposizione nella madre, la quale rimasta vedova così giovane, aveva riposto nella figlia e nelle sue possibilità musicali, di avere un aiuto nella vita, pertanto si dimostrò contraria alla vocazione di Elisabetta, proibendole di frequentare il Carmelo di Digione, anzi proponendogli il matrimonio con un buon giovane.
Ma la giovane era ormai innamorata di Cristo e non c’era spazio per altri amori, ad ogni modo
ubbidì alla madre per quanto riguardava i contatti con il monastero carmelitano, pur ribadendo la sua immutata volontà.
Solo quando raggiunse i 19 anni la signora Catez cedette, ma ponendo la condizione che avrebbe potuto entrare nel Carmelo solo nel 1901, quando avrebbe compiuto i 21 anni; nel frattempo la conduceva a varie feste danzantidella buona società, con la speranza che Elisabetta avrebbe cambiato idea.
Ma lei anche in mezzo al mondo, ascoltava il suo Gesù nel silenzio di un cuore che non voleva che essere che suo. Prima di uscire per queste feste, s’inginocchiava in casa, pregava, si offriva alla Madonna, poi con naturalezza e con un sorriso, viveva queste occasioni di festa gioiosa, tutta presa dal pensiero della Comunione che avrebbe ricevuta il mattino successivo e si rendeva estranea e insensibile a tutto quello che accadeva intorno a lei.
Si preparò così alla vita monastica, insegnando il catechismo ai piccoli della parrocchia, soccorrendo i poveri più abbandonati, in comunione stretta con la Trinità e con la Madonna. Il 2 agosto 1901 entrò nel Carmelo di Digione e l’8 dicembre ne vestì l’abito, dopo un fervoroso anno di noviziato, l’11 gennaio 1903 pronunciò i voti, prendendo il nome di Elisabetta della Trinità.
Ma la gioia di aver raggiunto la meta desiderata, dopo un inizio pieno di speranze e promesse, fu bloccata ben presto, perché il 1° luglio 1903, si manifestò nella giovane professa uno strano male, non diagnosticato correttamente e curato con terapie sbagliate, solo più tardi si diagnosticò per il terribile morbo di Addison (malattia caratterizzata da una profonda astenia, con ipotensione, dolori lombari, turbe gastriche, una colorazione bronzina della pelle, dovuta per lo più alla tubercolosi delle capsule surrenali).
Nessuno del monastero, ne i medici avvertirono subito la gravità del male, non conoscendone allora sintomi e terapia; il morbo ebbe una sua classificazione nel 1855 dal medico inglese Thomas Addison (1793-1860) da cui prese il nome.
Suor Elisabetta della Trinità accettava tutto con il sorriso e l’abbandono alla volontà di Dio, manifestando la sua “gioia di configurarsi al Crocifisso per amore” e diventando veramente “lode di gloria della Trinità”. Da un suo scritto datato, venerdì 24 febbraio 1899, rileviamo la conoscenza che lei aveva del suo male oscuro e la trasformazione della sofferenza in sublimazione: “Poiché mi è quasi impossibile impormi altre sofferenze, devo pure persuadermi che la sofferenza fisica e corporale non è che un mezzo, prezioso del resto, per arrivare alla mortificazione interiore e al pieno distacco da sé stessi. Aiutami Gesù, mia vita, mio amore, mio Sposo”.
Il 21 novembre del 1904 si era offerta “come preda” alla Trinità con la celebre invocazione: “O mio Dio, Trinità che adoro”, uscita di getto dalla sua anima. Gli anni dal 1900 al 1905 trascorsero tra alti e bassi della malattia, ma nel 1906 la situazione precipitò; le crisi si susseguivano opprimendola e soffocandola, mentre le viscere davano la sensazione di essere dilaniate da bestie feroci; non riusciva ad assumere né cibo né bevande, ciò nonostante non smise mai di sorridere.
In quell’estate del 1906 obbedendo alla priora, scrisse le sue meditazioni, frutto di quei mesi terribili, nell’”Ultimo ritiro di Laudem gloriae” e nel “Come trovare il cielo sulla terra”.
La progressione del male ormai la consumava e scrivendo alla madre, diceva: “il mio Sposo vuole che io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli possa soffrire ancora per la gloria del Padre e per aiutare la Chiesa… Egli ha scelto la tua figlia per associarla alla grande opera della Redenzione”.
Parlava comunque e stranamente di gioia; eppure al martirio del corpo si era aggiunto quello dello spirito, con un senso di vuoto e di abbandono da parte di Dio, che tutti i mistici hanno conosciuto, ebbe persino tentazioni di suicidio, superate nella fede dell’amore per Cristo.
Il morbo ebbe un decorso piuttosto lungo e doloroso, verso l’autunno sembrò avviarsi verso la fine; giunto il 1° novembre parve giunta l’ultima ora estrema e in quel giorno disse le sue ultime considerazioni: “Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l’amore. Bisogna fare tutto per amore…”, poi per nove giorni si prostrò in uno stato precomatoso; in un ritornare momentaneo della coscienza, fu udita mormorare: “Vado alla luce, all’amore, alla vita”.
Morì il mattino del 9 novembre 1906, a soli 26 anni. Come s. Teresa del Bambino Gesù anche Elisabetta della Trinità fu una grande mistica, che seppe penetrare l’essenza dell’Amore “troppo grande” di Dio, in intima comunione con i suoi “TRE” come Elisabetta si esprimeva familiarmente parlando della SS. Trinità, perno della sua vita di oblata claustrale carmelitana.
Pur essendo vissuta nel monastero poco più di cinque anni e di cui tre in una condizione di ammalata grave e irreversibile, quindi con pochi contatti con l’esterno, essa dopo morta godé subito di una fama di santità, che fece pensare ben presto alla sua glorificazione.
Per diversi motivi il primo processo informativo si ebbe negli anni 1931-41 a Digione e il 25 ottobre 1961 venne introdotta la causa. Il 12 luglio 1982 furono riconosciute le sue virtù vissute in modo eroico, dandole il titolo di venerabile; infine papa Giovanni Paolo II l’ha beatificata il 25 novembre 1984. Il "Martirologio Romano" riporta la sua celebrazione al 9 novembre. Viene invece onorata come memoria dall'ordine carmelitano scalzo nel giorno 8 novembre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Elisabetta della Trinità Catez, pregate per noi.

*Beato Enrico (Henryk) Hlebowicz - Sacerdote e Martire (9 novembre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”

Grondo, Polonia, 1 giugno 1904 – Borysów, Polonia, 9 novembre 1941
Il Beato Henryk Hlebowicz, sacerdote diocesano polacco, nacque a Grondo il 1° giugno 1904, morto a Borysów il 9 novembre 1941.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Martirologio Romano: Nella cittadina di Borysów in Polonia, Beato Enrico Hlebowicz, sacerdote e martire, fucilato durante la guerra in odio alla fede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico Hlebowicz, pregate per noi.

*Sante Eustolia e Sopatra - Monache (9 novembre)

Martirologio Romano: A Costantinopoli, Sante Eustolia e Sópatra, vergini e monache.
I menologi sono molto laconici su queste sante. Tuttavia, il codice Vaticano gregoriano 807 (secolo X) dà una notizia più diffusa: Eustolia, nata a Roma, venne a Costantinopoli e si mise a visitare le chiese per fare le sue devozioni.
Presso la basilica della Santa Madre di Dio, nel quartiere Blacherna incontrò Sopatra, figlia dell’imperatore Maurizio (582-602), che si legò a lei e la pregò di divenire sua «madre spirituale». Esse conquistarono altre giovinette e cercarono di fondare un monastero.
Sopatra ottenne dal padre un terreno, dove fabbricò una cappella e dei locali monastici.
Alla morte di Eustolia prese la direzione del monastero: questo sorgeva presso quello detto toù panagiòn che prese più tardi il titolo di Theotocos dei «Mongoli», al di sotto del Phanar.
La festa delle due sante è iscritta al 9 novembre nel Martirologio Romano e nei sinassari bizantini.
(Autore: Raymond Janin - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Eustolia e Sopatra, pregate per noi.

*Beato Francesco Giuseppe Martin Lopez Arroyave - Coadiutore Salesiano, Martire (9 novembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Madrid e Siviglia”
“Beati 498 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2007”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Vitoria, Spagna, 24 settembre 1910 - Madrid, Spagna, 9 novembre 1936
Nacque a Vitoria il 24 settembre 1910. Desiderando abbracciare la vita religiosa, fu ammesso al Noviziato di Mohernando e professò il 12 ottobre del 1933. Lavorava con molto zelo e ottimi risultati nel collegio salesiano di Madrid, quando scoppiò la rivoluzione.
Fu detenuto con parecchi confratelli il 19 luglio 1936. Nei mesi di carcere continuò le pratiche di pietà consentite dall'ambiente.
Ricevette parecchie volte il Sacramento della Penitenza e fu di sollievo a chi ne aveva bisogno. Andò con altri alla fucilazione il 9 novembre del 1936. Beatificato il 28 ottobre 2007.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Giuseppe Martin Lopez Arroyave, pregate per noi.

*Beato Gabriele Ferretti - Francescano (9 novembre)
Ancona, 1385 - 12 novembre 1456
Nacque in Ancona dalla nobile famiglia Ferretti nel 1385. Il Conte Liverotto, suo padre, e Alvisia, sua madre, educarono Gabriele alle più squisite virtù cristiane, specialmente alla purezza che traspariva dal suo comportamento angelico. A 18 anni si fece Religioso francescano dell'Ordine dei Frati Minori.
Nel chiostro studiò filosofia e teologia con raro profitto, per cui ordinato Sacerdote, si dedico con frutto alla predicazione, convertendo molti peccatori. Ebbe da Dio il privilegio di conoscere il futuro, e il dono di guarire gli ammalati col semplice segno della Croce o al contatto della sua tonaca.
Nutrì tenera devozione alla Vergine Santissima, che spesso gli appariva col Bambino Gesù tra le braccia nel silenzio della cella o nel bosco del Convento. Il 12 novembre 1456, dopo una vita piena di virtù e di miracoli a favore degli umili e dei sofferenti, dolcemente spirava.
San Giacomo della Marca, ai funerali solennissimi, ne tesseva l'elogio dinanzi al Vescovo, al Senato e al popolo Anconetano.
Presso le Sue spoglie incorrotte, che si venerano nella Chiesa dei Frati Minori in Ancona, si moltiplicano da secoli grazie e miracoli; e i malati benedetti con l'olio della lampada del Beato Gabriele, ottengono la sua celeste protezione.
Martirologio Romano: Ad Ancona, Beato Gabriele Ferretti, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che rifulse nell’assistenza ai bambini e ai malati, nell’obbedienza e nell’osservanza della regola.
Il Conte Frate e l’ultimo Papa Re: legati tra loro da un seppur legame di parentela, accomunati dallo stesso destino di gloria, culminato con la beatificazione di entrambi. A legare, innanzitutto, il Beato Gabriele e il Beato Pio IX è il cognome, Ferretti, anche se li separano quasi 400 anni. Gabriele, infatti, nasce ad Ancona nel 1385, in un ambiente nobile ed aristocratico ma non per questo meno cristiano.
Famiglia numerosa, la sua, ben dieci figli maschi, che nonostante una tradizione di devozione alla Chiesa ed al Papa non reagisce molto bene all’idea di Gabriele di farsi frate, frate di “Santo
Francesco”, di cui nelle Marche e soprattutto ad Ancona sembra ancora aleggiare lo spirito, sicuramente il fascino ed il richiamo.
Una cosa è l’inclinazione di Gabriele per le cose di chiesa, la spiccata pietà, le numerose devozioni che contraddistinguono gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza; altra cosa buttare alle ortiche titoli nobiliari e patrimoni di famiglia in cambio del rozzo saio francescano.
In qualche maniera, nella scelta non facile di Gabriele si ripete il dramma della scelta di San Francesco, che alla sua facoltosa famiglia preferisce “madonna Povertà”. Gabriele, una volta frate e sacerdote, comincia a distinguersi: non certo per i suoi nobili natali, soprattutto per la sua fervida intelligenza che gli procura incarichi delicati e preziosi, da maestro dei novizi a Vicario Provinciale dell’Ordine.
Se poi queste doti di natura si fondono con una serena concentrazione in Dio, una soda pietà, una tenera devozione alla Madonna, ecco completato il quadro di un frate che predica con successo, trascina le folle, ravviva la fede sopita, ottiene conversioni. Padre Gabriele percorre a piedi, in lungo e in largo, le Marche: prima come predicatore, poi come Vicario Provinciale: fonda conventi, in altri rinnova o rinvigorisce la vita religiosa, dappertutto lascia una scia di santità che affascina la gente.
Qualcuno prova anche a mettergli i bastoni fra le ruote, come quella volta ad Osimo, dove con la maldicenza lo cacciano dalla città, dove poi torna poco dopo, osannato dalla gente. E quando lo vogliono mandare in Bosnia a predicare contro i manichei, si muove addirittura il consiglio comunale di Ancona per chiedere al Papa di non lasciar partire un frate così. Che intanto invecchia, ma non perde il buon umore, l’umiltà e la carità.
La salute invece declina e il suo corpo, al quale con fatiche e penitenze ha chiesto davvero troppo, diventa fragile. Spira in un mare di luce il 12 novembre 1456 e sulla sua tomba inizia subito una processione di infermi, molti dei quali tornano a casa guariti. Nel 1753 Benedetto XIV decreta l’onore degli altari per il Conte Frate che, proclamato compatrono di Ancona, viene festeggiato il 12 novembre. Il Martyrologium Romanum pone la sua memoria al 9 novembre.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gabriele Ferretti, pregate per noi.

*San Giorgio - Vescovo (9 novembre)

Martirologio Romano: A Lodève nella Gallia narbonense, ora in Francia, San Giorgio, vescovo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giorgio, pregate per noi.

*Beato Giorgio Napper - Sacerdote e Martire (9 novembre)
Holywell, Inghlterra, 1550 - Oxford, Inghilterra, 9 novembre 1610
Martirologio Romano:
A Oxford in Inghilterra, Beato Giorgio Napper, sacerdote e martire, che tanto nell’esercizio clandestino del suo ministero quanto in carcere operò mirabilmente per guadagnare anime a Cristo nella Chiesa e per il suo sacerdozio meritò di ricevere, sotto il re Giacomo I, la corona del martirio.
Figlio di Edoardo e di Anna Peto, il Napper nacque nel castello di Holywell (Oxford) nel 1550.
Frequentava il Corpus Christi College di Oxford, quando nel 1568 venne espulso perché ricusante.
Arrestato alla fine del 1580, rimase in carcere quasi nove anni, ottenendo infine di essere rilasciato per aver riconosciuto la supremazia spirituale della regina.
Pentitosi poi vivamente della sua debolezza, chiese ed ottenne di essere ammesso al Collegio
inglese di Douai, dove fu un costante esempio di edificazione per le sue virtù e la sua profonda pietà, distinguendosi anche per l'abnegazione con cui assistette e curò due compagni colpiti dalla peste.
Dopo aver ricevuto l'ordinazione sacra nel 1596, si fermò per alcuni anni in Anversa prima di partire per le missioni inglesi, che raggiunse solo nel 1603, andandosi a stabilire nella sua nativa contea di Oxford, dove per sette anni poté esercitare indisturbato la sua attività missionaria e pastorale con grande profitto delle anime.
Catturato a Kirtlington nelle prime ore del mattino del 19 luglio 1610, fu rinchiuso nelle prigioni di Oxford, venendo poco dopo processato e dichiarato colpevole di alto tradimento; i suoi parenti riuscirono tuttavia ad ottenere una proroga di qualche mese all'esecuzione della sentenza, e forse sarebbero riusciti anche a farlo rilasciare, se egli nel frattempo non avesse commesso un nuovo delitto capitale, agli occhi dei persecutori, riconciliando un delinquente condannato a morte, di nome Falkner, che sul patibolo si dichiarò infatti cattolico.
Dopo un ulteriore rinvio, ed avendo il Napper rifiutato decisamente di prestare il giuramento di fedeltà, venne infine giustiziato ad Oxford il 9 novembre 1610.
I particolari della cattura e del martirio del Napper furono minuziosamente descritti da un gentiluomo cattolico, suo compagno di prigionia, rimasto nondimeno sconosciuto, in una lettera inviata il 19 dicembre seguente ad un sacerdote che gliene aveva chiesto la narrazione, pubblicata poi dal Challoner.
Innalzato all'onore degli altari da Pio XI il 15 dicembre 1929, il Beato Napper viene commemorato il 9 novembre.
(Autore: Niccolò Del Re – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giorgio Napper, pregate per noi.

*Beata Giovanna di Signa - Vergine (9 novembre)
Sec. III
Martirologio Romano:
A Signa presso Firenze, Beata Giovanna, vergine, che condusse vita solitaria per Cristo.
Lungo il corso dell'Arno, pochi chilometri a valle di Firenze, sorge sopra un colle a specchio del fiume la cittadina di Signa, uno dei centri più interessanti e più attivi della provincia fiorentina.
Di antichissima origine, con nome romano (dal latino signum), Signa si sviluppò nel Medioevo come centro agricolo e commerciale, e anche come porto fluviale sull'Arno, valicato da un ponte ai piedi della città.
In epoca più recente, Signa è stata celebre nella storia dell'artigianato, anzi dell'industria, per la lavorazione della terracotta e soprattutto della paglia. La cosiddetta "paglia di Firenze" viene - o almeno veniva - Iavorata nel territorio di Signa, da numerose e abilissime "trecciaiuole".
La parte più antica della città, alta sul colle, di aspetto medievale, viene comunemente detta "La Beata". Ricorda così, e ogni giorno onora, la Beata per antonomasia, qual è, a Signa, la Beata
Giovanna, oggi festeggiata.
La Beata Giovanna visse nella seconda metà del '200, e pochi documenti sul suo conto sono pervenuti fino a noi. Era figlia di umili genitori, e come Giovanna d'Arco e Bernardetta di Lourdes fu in gioventù pastorella, semplicissima di vita e immacolata d'anima.
Sui trent'anni poté dar corpo al suo ideale di vita religiosa, facendosi reclusa volontaria sull’esempio dì Santa Verdiana, reclusa a Castelfiorentino.
Dopo aver ricevuto, dai frati di Carmignano, l'abito del Terz'Ordine francescano, ella si fece murare entro una celletta isolata, presso l'Arno, ai piedi dei paese. Vi restò, in penitenza, per ben quattro decenni.
Da quell'angusto rifugio, ella sparse doni di misericordia su tutti coloro che a lei ricorsero: curò ammalati, consolò afflitti, sollevò peccatori, illuminò dubbiosi, aiutò bisognosi. Già da viva, si meritò così la fama di benevola protettrice di Signa e dei suoi abitanti. Una fama perdurata fino ai nostri giorni, grazie anche ai miracoli postumi e alle grazie ricevute.
Le leggende pittoresche sul conto della Beata Giovanna riguardano la sua gioventù come pastora. Una, per esempio, narra come durante le tempeste e gli acquazzoni, ella radunasse il gregge sotto un grande albero, che prodigiosamente veniva risparmiato dalla pioggia, dalla grandine e dalle saette.
Perciò quando una tempesta si avvicinava, gli altri pastori accorrevano accanto a lei con i loro animali. Giovanna approfittava di quelle occasioni per insegnare ai compagni, con parole semplici ed efficaci, il modo di salvarsi l'anima e di meritarsi il paradiso.
Altre volte, quando l'Arno in piena impediva il traghetto tra l'una e l'altra sponda, Giovanna fu vista stendere sulle acque minacciose il suo rozzo mantello, e traghettare su quello il fiume, come su una barca sicura.
Nel prodigio si compì anche la sua vita di reclusa volontaria, nel 1307. Si narra infatti che, al momento della sua morte, le campane delle chiese vicine si mettessero a suonare da sole, come suonano ancora, quasi per forza di devozione, il giorno della festa della " Beata ", a Signa.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - Beata Giovanna di Signa, pregate per noi.

*Beato Grazia (Graziano) da Cattaro - Religioso Agostiniano (9 novembre)

Mulla, Cattaro (odierna Kotor), Montenegro, 1438 – Murano, Venezia, 9 novembre 1508
Nacque il 27 novembre del 1438 a Mulla, presso Cattaro, in Dalmazia. Fu marinaio fino all'età di 30 anni. In seguito entrò nell'Ordine agostiniano come fratello laico dopo aver ascoltato a Venezia una predica dell'oratore agostiniano Simonetto da Camerino. Morì a Venezia l'8 novembre dell'anno 1508.Si distinse per l'umiltà, la laboriosità, lo spirito di penitenza e amore all'Eucarestia.
Martirologio Romano: A Murano in Veneto, Beato Grazia da Cáttaro, religioso dell’Ordine di Sant’Agostino, che, dopo essere vissuto in grande povertà alla guida di una piccola imbarcazione per procurarsi il cibo, spinto dai sermoni del beato Simone da Camerino, chiese di poter indossare l’abito religioso e condusse una vita pia.
Graziano nacque nel 1438 a Mulla, piccolo villaggio nella pittoresca baia di Cattaro sulle coste dalmate, odierna Kotor in Montenegro, allora centro più importante del golfo e della diocesi.
Dal 1423 Kotor si era liberamente sottomessa alla signoria veneziana, conservando così l’indipendenza.
La lunga egemonia dei veneziani si rispecchia ancora oggi nell’architettura della città e, grazie al legame con la Serenissima, era divenuta un porto vivace e ricco di commercianti, marinai e
pescatori.
Graziano era un uomo di mare, un pescatore, e tale rimase sino all’età di trent’anni. In uno dei suoi numerosi viaggi capitò in una chiesa di Venezia e, conquistato da una predica dell’agostiniano Simone da Camerino, decise di aderire alla vita religiosa ed entrare nell’Ordine.
Fu accettato dal convento di Monte Ortone, nelle vicinanze di Padova, come fratello converso.
Questo convento era la culla di una delle nuove congregazioni dell’Ordine, formatosi allora in Italia, ed insieme alle altre si distingueva per il grande zelo per la disciplina.
Esso fu accettato nel 1433 dal Priore generale Gerardo da Rimini e annesso alla provincia del distretto di Treviso, con la condizione che avrebbe ospitato solo quei confratelli fermamente fedeli agli ideali della riforma dell’Ordine. Affidatogli il compito di giardiniere, Graziano si guadagnò ben presto la stima e la riconoscenza dell’intera comunità. Quando altri due conventi della riforma entrarono nell’Ordine, la congregazione venne eretta ufficialmente. Tra il 1472 e il 1474 Simone da Camerino appare nei registri generali quale vicario.
Dopo questi anni Graziano fu trasferito al monastero di San Cristoforo in Venezia, ove secondo la tradizione pare che una misteriosa luce brillasse sempre sulla sua cella e che numerosi miracoli avvenissero per sua intercessione.
Un esempio in tal senso è dato dall’evento straordinario verificatosi in un’estate particolarmente arida: Graziano partecipava ai lavori di riparazione della chiesa conventuale, quando una cisterna si riempì di acqua dolce, che rimase tale anche dopo che vi entrò dell’acqua marina.
Quasi settantenne, si ammalò gravemente e morì il 9 novembre 1508 nell’isola di Murano, nell’arcipelago veneziano.
Le sue reliquie ancor oggi riposano nella chiesa di Mulla (Muo), suo paese natale. Il culto quale “Beato” venne approvato nel 1889 dal sommo pontefice Leone XIII.
Al di fuori di queste poche notizie e del culto tributatogli, non sappiamo purtroppo altro del Beato Graziano.
La biografia in lingua italiana del Lazzerini, risalente al 1643, e quella latina di Eliseo di Gesù e Maria, del 1677, non hanno fondamenti storicamente documentati.
Ma sono comunque proprio i racconti sulla sua austerità di vita e la potenza prodigiosa della sua intercessione a dar testimonianza della sua antica fama di santità.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Grazia da Cattaro, pregate per noi.

*Beato Ludovico (Luigi) Morbioli - Confessore (9 novembre)
Bologna, 1433 - Bologna, 9 novembre 1485
Il Beato Ludovico dell'antica famiglia Morbioli è un mirabile esempio di santità penitente. Dopo una giovinezza dissipata e gaudente, nel 1462, mentre si trovava a Venezia, fu afferrato dalla mano di Dio attraverso l'esperienza della malattia.
La prospettiva della morte e l'amorosa assistenza dei Canonici Regolari di san Salvatore contribuirono al radicale cambiamento di vita, che al ritorno in patria colpì i vecchi compagni di bagordi. Portando l'immagine del Crocifisso su un'asta, passò per le strade di Bologna e di altre città d'Italia predicando la penitenza.
Trascorse gli ultimi anni in umiltà e preghiera silenziosa, alloggiando in un sottoscala del Palazzo Lùpari in via Dal Luzzo n.4, ora trasformato in oratorio. Morì sul nudo pavimento, portando fino all'ultimo la sua testimonianza a Cristo amico dei poveri e dei peccatori.
Martirologio Romano: A Bologna, Beato Ludovico Morbioli, che, convertitosi a Dio da una vita immersa nel vizio, scelse un severo tenore di vita da penitente e richiamò con la parola e con l’esempio i cittadini alla pietà.
La memoria del Beato Luigi Morbioli si conserva soltanto a Bologna, dove visse e morì, nel '400. Non si conosce con esattezza neanche il luogo della sua sepoltura, per quanto sembri che il corpo del Beato si trovi in qualche muro della cattedrale bolognese di San Pietro, nascosta però dai lavori di restauro.
Luigi Morbioli visse nella città di Bentivoglio in uno dei periodi più splendidi nella storia bolognese. La sua vicenda si distingue per l'estrema distanza tra due poli opposti: da una parte il clamore della vita disordinata, dall'altra la fama della vita di penitente.
Giocatore accanito, seduttore impenitente, bevitore smodato, carattere collerico e violento. Con questi tratti ci viene dipinto il piccolo borghese di Bologna, di incerta professione ma di certa perversione.
Se non che, un giorno, Luigi Morbioli va a Venezia per i suoi affari, più o meno limpidi. A Venezia si ammala gravemente. Viene ospitato e curato dai canonici regolari di San Salvatore. Quando il bolognese torna in salute, ha la sorpresa di accorgersi che la sua guarigione è stata doppia: di corpo e d'anima, di fisico e di carattere.
Torna a Bologna indossando un saio bruno, poi mutato in bianco (e per questo viene considerato, ma senza fondamento, come terziario carmelitano).
Si mette a mendicare per le vie di Bologna, non per sé, ma per i più poveri. La sua barba cresce arruffata; i capelli incolti. Non ha casa, non ha letto. Dorme sui marciapiedi, sotto i portici: d'inverno, livido di freddo; d'estate, rosolato dal caldo.
Per i suoi viaggi, cavalca un somarello pieno di acciacchi, portando addosso una grossa croce. Ovunque arrivi, il popolo fa cerchio attorno a lui, dapprima per curiosità o per scherno, poi perché attirato e ammirato dalla sua parola, che invita alla penitenza e alla continenza.
Chi l'ha conosciuto prima, stenta a persuadersi del cambiamento. Chi non sa del vecchio uomo, non immagina quale sia stata la trasformazione.
Ma tutti ritraggono da quel penitente un incoraggiamento spirituale, una specie di scossa elettrica, anzi un lampo di luce.
Ha poco più di cinquant'anni, ma sa di dover morire presto, e annunzia il giorno del suo trapasso: nel novembre del 1485. Ma la morte non cancella il ricordo dello straordinario penitente, e la memoria, se non proprio il culto, di Luigi Morbioli sopravvive a lungo a Bologna, anche se nel frattempo si perdono, in qualche muro della cattedrale, i resti mortali del futuro Beato.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - Beato Ludovico Morbioli, pregate per noi.

*Beata Maria del Monte Carmelo del Bambino Gesù - Fondatrice (9 novembre)
Antequera, Spagna, 30 giugno 1834 – 9 novembre 1899
Maria del Monte Carmelo di Gesù Bambino, al secolo Maria del Carmen Gonzalez-Ramon Garcia-Prieto, fondò la Congregazione delle Suore Terziarie Francescane dei Sacri Cuori di Gesù e Maria. Dichiarata “venerabile” il 7 aprile 1984, Benedetto XVI ha riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione il 26 giugno 2006. É stata beatificata il 6 maggio 2007.
Maria del Carmen Gonzalez-Ramon Garcia-Prieto nacque ad Antequera, nel territorio della diocesi di Malaga, il 30 giugno 1834, da Salvatore Gonzalez e Giovanna Ramos. Sin dall’infanzia, trascorsa nella casa paterna, dimostrò un temperamento amabile, spontaneo e sensibile.
Intraprese i suoi primi studi con l’ausilio di maestri e precettori privati. Nel 1857, nonostante l’opposizione della famiglia, convolò a nozze con Gioacchino Munoz del Cano de Hoyos, ma i ventiquattro anni di vita coniugale si rivelarono per lei un calice assai amaro, che seppe però sopportare sempre con ammirabile fortezza, riuscendo anche con il suo integerrimo esempio a convertire il suo sposo.
Rimasta vedova nel 1881, iniziò a dedicarsi interamente agli esercizi di pietà e, piena di desiderio
di poter servire Cristo nella persona degli umili e dei bisognosi, adattò la sua abitazione quale vero e proprio asilo di carità.
In cuor suo nacque il desiderio di consacrare a Dio il resto dei suoi giorni e guidata dal suo direttore spirituale, il cappuccino padre Barnaba da Astorga, intraprese la fondazione di un nuovo istituto religioso, la Congregazione delle Suore Terziarie Francescane dei Sacri Cuori di Gesù e Maria.
La prima casa fu fondata presso Antequera il 1° maggio 1884. Il 17 settembre seguente, insieme ad otto altre compagne, la fondatrice emise i voti temporanei ed il 20 febbraio 1889 fece la professione perpetua assumendo il nome di Maria del Monte Carmelo di Gesù Bambino.
In tale occasione fu anche eletta prima superiora generale dell’ordine carica che seppe espletare dimostrando sempre grande prudenza, diligenza ed amabile magnanimità. Sotto il suo governo l’istituto crebbe rapidamente, grazie anche alle numerose vocazioni.
Nacquero centri per giovani, scuole ed ospedali per la cura dei poveri e dei bisognosi in genere. Nel 1897 lasciò la direzione della congregazione alle nuove leve e due anni dopo, il 9 novembre 1899 morì, già circondata da un’indiscussa fama di santità.
Solo nel 1948 furono istruiti i processi informativi presso la curia di Malaga, per poi introdurre la causa di beatificazione il 19 dicembre 1963 con decreto della Sacra Congregazione dei Riti.
Nei due anni seguenti a Malaga si celebrarono i processi apostolici ed il 7 aprile 1984 giunse il decreto sulle virtù eroiche che la dichiarò “Venerabile”.
Madre Maria del Monte Carmelo di Gesù Bambino è stata finalmente beatificata il 6 maggio 2007.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria del Monte Carmelo del Bambino Gesù, pregate per noi.

*Beata Maria Micaela (Maria de la Salud Baldovì Trull) - Badessa Bernardina, Martire (9 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Cistercensi della Stretta Osservanza (Trappisti) e di San Bernardo" - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Algemesí, Spagna, 28 aprile 1869 - Benifayó, Spagna, 9 novembre 1936
Nel luglio del 1936 le monache di Fons Salutis, monastero di bernardine situato a Algemesí, vicino a Valencia, in Spagna, furono espulse dai comunisti.
La badessa, Micaela Baldoví Trull, molto amata dalle sue figlie, aveva esercitato il suo governo con molto spirito materno e profonda comprensione delle umane debolezze.
Dopo l'espulsione si rifugiò in casa di sua sorella, ma tre mesi dopo furono entrambe arrestate e condotte al monastero di Fons Salutis, convertito in prigione.
Durante la notte del 9 novembre furono tratte dal carcere e condotte al crocevia di Benifayó, sulla strada di Valencia, dove furono assassinate.
Al termine della guerra, dopo molti accertamenti per scoprire il luogo in cui era avvenuta l'uccisione, i loro resti furono esumati e si trovarono le due teste separate dal tronco, il che lascia supporre che le due sorelle furono decapitate. Madre Maria Micaela è stata beatificata il 3 ottobre 2015.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Micaela, pregate per noi.  

*Beato Monaldo da Capodistria (9 novembre)

m. 1280
Beato francescano, nacque in una famiglia di origine toscano-marchigiana nel XIII secolo a Pirano. In una città, Capodistria (Giustinopoli), dedita al commercio, fu un giurista, ma abbandonò la professione per vestire il saio francescano.
Fu padre provinciale della Dalmazia dal 1240 al 1260, dedicandosi anche agli studi di teologia: a lui sono attribuiti alcuni commenti della Bibbia e diversi sermoni.
L'opera certamente sua, che gli ha tributato una fama perenne, è la «Summa Juris Canonici», detta «Summa Monaldina». Per tale opera, che ebbe diffusione in tutta Europa e la cui prima copia a stampa è del 1516, può essere considerato il più importante giurista francescano del XIII secolo. Monaldo morì a Capodistria nel 1280.
L'arca contente le spoglie del beato sono conservate a Trieste, nella chiesa francescana di Santa Maria Maggiore, dove giunsero, dopo alterne vicende, il 22 dicembre 1954. (Avvenire)
Capodistria (anticamente Giustinopoli) fu per secoli un porto fiorente, ideale per gli scambi commerciali dell’alto Adriatico: molti per lavoro vi si trasferivano da altre città. Fu anche sede vescovile.
Probabilmente in una famiglia di origine toscano-marchigiana (i Monaldi o i Bonaccorsi) nacque nel XIII secolo il B. Monaldo (forse a Pirano). Tra le poche notizie che conosciamo della sua vita sappiamo che era un fine giurista e che quindi la sua fu una vocazione tardiva.
Esercitò l’attività professionale prima di lasciare il mondo per vestire il cinereo saio di Francesco d’Assisi. L’austero ideale del Serafico Poverello raccoglieva in comunità dotti e analfabeti che poi, umilmente, secondo le proprie capacità, servivano insieme Cristo Gesù.
Il Beato Monaldo ebbe, in seno al suo ordine, vari incarichi. Padre Provinciale della Dalmazia dal 1240 al 1260, fu un dotto maestro e un grande studioso di teologia. A lui sono attribuiti alcuni commenti delle Sacre Scritture e diversi Sermoni. L’opera certamente sua, che gli ha tributato una fama perenne, è la “Summa Juris Canonici”, detta “Summa Monaldina”, Aurea o Dorata.
Per tale opera può essere considerato il più importante giurista francescano del XIII secolo. Monaldo però, oltre che per la scienza e il sapere, si distinse per la santa condotta di vita.
In una Summa si compendiavano tutte le nozioni di una determinata scienza o disciplina: la Summa Monaldina fu importante per la storia del Diritto.
In essa sono trattate, in ordine alfabetico, questioni giuridiche e di morale. Per la sua praticità ebbe, per secoli, una vasta diffusione tra gli uomini di legge e nelle Università. Nicola Boccasini (papa Benedetto XI) la lodò pubblicamente. Nel XV secolo il domenicano S. Antonino Pierozzi, Arcivescovo di Firenze, definì il nostro Beato “magnus canonista et theologus”.
Preziosissime copie manoscritte (nei cui capilettera è spesso presente l’effige del Beato) sono oggi conservate nelle più importanti Biblioteche europee. La prima edizione a stampa fu impressa a Lione nel 1516.
Monaldo morì a Capodistria nel 1280 e subito, vista la fama che lo circondava, ebbe una sepoltura distinta che divenne fonte di grazia e di prodigi.
Nel 1617 le sue spoglie furono riposte in una nuova arca (la precedente era in pietra) e collocate nella cappella di S. Maria Maddalena della chiesa dei Minori Conventuali. Questi, nel XVI secolo, avevano ereditato le memorie dell’antico cenobio (ai tempi del Beato il movimento francescano era unico). Le reliquie si esponevano alla pubblica venerazione i primi due giorni d’agosto, nella ricorrenza solenne dell’Indulgenza della Porziuncola.
Nel 1806 anche a Capodistria si abbatté la bufera napoleonica. Con la soppressione del convento l’urna del Beato subì varie traversie. Dapprima fu affidata alle Clarisse, poi alle Agostiniane del monastero di San Biagio. Nel 1816, soppresso quest’ultimo, l’urna venne collocata nella cappella privata del marchese De Gravisi, in quanto due sue figlie erano state le ultime monache del monastero.
Nel 1876 la residenza cambiò proprietario e il sacro deposito corse il rischio di essere profanato. Una mano provvidenziale consegnò le reliquie alla Cattedrale ma, relegate nella sacrestia per trent’anni, caddero in oblio. Furono in seguito consegnate ai Frati Minori del convento di Sant' Anna e si iniziò l’iter per il riconoscimento del culto “ab immemorabili”.
Nel 1904 ci fu una prima ricognizione e si dichiararono autentiche. Un’ulteriore ricognizione, con l’autorizzazione della Santa Sede, ci fu nel 1913.
Una perizia medica constatò che vi era quasi tutto lo scheletro e che il Beato, di alta statura, era morto in età avanzata. Nel 1941 furono collocate nell’attuale urna.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale le reliquie seguirono la sfortunata sorte del popolo istriano che fu costretto, come anche i frati, a lasciare la propria terra.
L’arca fu portata prima a Venezia e poi finalmente a Trieste (22 dicembre 1954) nella chiesa francescana di S. Maria Maggiore. Ogni 19 giugno per i numerosi istriani di Trieste la festa del Beato è anche motivo di incontro e aggregazione. Nel Martirologio Francescano è ricordato al 9 novembre.

Preghiera
O Gesù, Redentore e Salvatore nostro,
che arricchisti l’anima del tuo Servo fedele B. Monaldo
con i tesori della tua grazia
e ti degnasti di sigillare le sue religiose virtù
con il dono dei prodigi,
ascolta la preghiera che ti rivolgiamo,
fiduciosi della sua intercessione.
Aumenta in noi la fede, la speranza e la carità,
perché amiamo te sopra ogni cosa
e il nostro prossimo per amor tuo.
Proteggi in particolare i suoi devoti,
che lo venerano nella città natale di Capodistria
e in tutti i luoghi dove sono sparsi;
conserva in essi le virtù cristiane, che hanno ereditato dai loro padri.
Concedi inoltre le grazie di cui abbiamo bisogno.
Te lo chiediamo, o Salvatore Divino,
e fiduciosi le attendiamo per i meriti
e l’intercessione del tuo Servo fedele B. Monaldo.
Amen.
(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Monaldo da Capodistria, pregate per noi.  

*San Pabo - Confessore (9 novembre)
É detto di solito Pabo Post Prydain (Prydyn), cioè “bastione della terra contro i Pitti” e ciò farebbe pensare ad un importante ruolo da lui assunto nella difesa della Britannia settentrionale contro i Pitti dell’attuale Scozia.
Dopo essere stato sconfitto, comunque, si recò nel Galles dove ottenne dei terreni nel Powys, sebbene il suo nome sia associato a Gwynedd (odierna Caernarvonshire).
Fondò la chiesa di Llanbabo nell’Anglesey (Galles del Nord); un altro Llanbabo esiste presso Llyn Padarn nel Caernarvonshire.
Presso Conway si trovano un villaggio e una collina che portano il nome di Pabo.
É considerato il principale dei Santi dell’Anglesey dove è detto tradizionalmente “re Pabo”.
Fu sepolto a Llanbabo dove nel sec. XVIII, durante uno scavo, fu scoperta una lastracon l’iscrizione “HIC IACET PABO POST PRYD” del XIV sec.
Che oggi è collocata all’interno della chiesa nel muro meridionale.
Pabo è festeggiato il 9 novembre, data che si ritrova negli antichi calendari degli “Iolo MSS.” (1618-1633) e in qualche almanacco del sec. XVIII.
(Autore: John Daley – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pabo, pregate per noi.

*San Teodoro - Martire Venerato a Rastiglione (9 novembre)
Rastiglione, parrocchia autonoma fino al 1967 quando venne riunita con decreto diocesano a quella matrice di Zuccaro, da cui si era staccata nel XVI secolo, venera San Teodoro come suo compatrono, di cui conserva il corpo che l’autentica, firmata dal sacrista pontificio monsignor Giuseppe Eusanio nel febbraio del 1683, indica estratto dal cimitero di Callisto.
Purtroppo non è possibile conoscere, dalla documentazione attualmente reperibile, attraverso quali vie e per interessamento di chi la reliquia sia giunta nella frazione di Valduggia dove, con atto notarile redatto da Giuseppe Filiberto Marrone il 20 luglio 1683, venne compiuta la ricognizione canonica e se ne autorizzò l’esposizione al pubblico culto.
L’esistenza della cappella, in cui ancora oggi sono conservate le reliquie, è documentata a partire dal 1733, mentre non è attestata nel 1695 quando nell’edificio esistono solamente gli altari
laterali dell’Immacolata e del Rosario; nella gloria del presbiterio, opera di Defendente Peracino (1762 – 1825), è raffigurato, in primo piano come soldato, il presunto martire.
Teodoro venne identificato con uno dei numerosissimi santi omonimi riportati dalle fonti agiografiche, in particolare con il celebre martire di Amasea ricordato nel Martirologio Romano al 9 novembre.
L’assimilazione dei due personaggi è insostenibile: il martire orientale, ricordato anche in un’omelia di Gregorio di Nissa e dal culto molto diffuso nell’antichità, non ha, infatti, alcun legame con la catacomba dell’Appia da cui si conosce provenire il corpo conservato a Rastiglione; inoltre parte delle sue presunte reliquie sono conservate nella cattedrale di Brindisi, dove furono trasportate nel XIII secolo e dove godono tutt’ora di grande venerazione.
Considerando come siano numerosi i santi che portano il nome Teodoro, tra cui molti martiri dell’Urbe, risulta molto improbabile, quasi impossibile, stabilire a quale di essi possano attribuirsi le reliquie venerate nella località valsesiana.
Questa identificazione, come si è già visto compiuta anche per altri corpi santi, ha determinato che la festa annuale del “Santo” fosse celebrata al 9 novembre o alla domenica più prossima a tale data; grande solennità caratterizza il trasporto venticinquennale dell’urna, l’ultimo dei quali si è svolto nel 1983.
(Autore: Damiano Pomi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Teodoro, pregate per noi.

*Sant'Ursino (Orsino) di Bourges - Vescovo  (9 novembre)
† seconda metà del III secolo
Primo prelato di Bourges, Francia. Trasformò in chiesa la casa del senatore Leocadio.
Martirologio Romano: Presso Bourges in Francia, Sant’Orsino, primo vescovo, che annunciò al popolo Cristo Signore e per i credenti, per la massima parte poveri, trasformò in chiesa la casa di Leucadio, senatore delle Gallie ancora pagano.
Sant’Ursino è celebrato a Bourges in Francia, di cui è patrono, il 29 dicembre e il 9 novembre; mentre il Martirologio Romano celebra il primo vescovo di quella città, il 9 novembre (forse il giorno dell’elevazione delle reliquie).
Sulla figura del santo vescovo della Gallia, sono state scritte nel tempo varie ‘Vite’, che come al solito sono in buona parte leggendarie, favolose e dense di errori cronologici.
Qui ci atteniamo al testo del grande vescovo e storico Gregorio di Tours (538-594), che nella sua “Historia Francorum”, lo descrive mandato nella Gallia con i sette primi vescovi.
Nell’altra sua opera “De Gloria confessorum”, capp. 79 e 90, Gregorio di Tours dice che Ursino è uno dei 72 discepoli degli Apostoli, precisando che era presente all’Ultima Cena, con funzione di lettore di tavola.
Quest’ultima versione è molto popolare nella regione del Berry, la cui tradizione aggiunge che Ursino era presente alla Passione, seguì gli Apostoli fino alla Pentecoste, ricevendo anche lui lo Spirito Santo.
In seguito avrebbe accompagnato Santo Stefano, raccogliendone il sangue quando subì il martirio. Sarebbe stato Papa Clemente (88-97) ad inviarlo nelle Gallie.
In realtà tutta questa versione è fantasiosa, soprattutto per il periodo storico; perché facendo seguito alla versione della “Historia Francorum”, Ursino giunto nel Berry, dopo aver predicato, convertito e battezzato buona parte della popolazione, specie i più poveri, volle costruire la prima
chiesa della regione a Bourges; la costruì nella proprietà di un ricco pagano convertito, il senatore San Leocadio († inizi del IV secolo), membro della famiglia di San Vettio Epagato, martirizzato a Lione nel 177.
Dopo consacrata la chiesa, Ursino vi depose la reliquia del sangue di Santo Stefano Protomartire; e dopo aver governato la Chiesa di Bourges per 27 anni, il primo vescovo Ursino morì un 29 dicembre di un anno imprecisato della seconda metà del III secolo.
Questi pochi dati cronologici, come la morte di San Leocadio, il martirio di San Vettio, l’istituzione della Chiesa di Bourges intorno al 250, indicano credibilmente che Sant' Ursino sia vissuto nel III secolo, mentre gli altri racconti, fra l’altro passati nella tradizione popolare, lo pongono erroneamente nel I secolo, nel periodo apostolico.
San Gregorio di Tours continua il racconto, narrando il ritrovamento miracoloso del sarcofago del santo, sotto una vigna in un antico cimitero, al tempo dell’episcopato di Probiano, in un arco di tempo dal 558 al 573. Le reliquie furono portate nella Basilica di San Sinforiano, che prese in seguito il nome di Sant' Ursino.
Nel 1055, Ugo vescovo di Lisieux, chiese ed ottenne alcune reliquie di Sant' Ursino, le quali furono oggetto di ricognizioni canoniche nel 1399 e nel XVII e XVIII secolo; altre reliquie si conservano a Chaussée-Saint-Victor, fin dal 1379.
Il culto per il santo vescovo, oltre che a Bourges è diffuso in Normandia, nelle diocesi di Lisieux, di Bayeux, di Rouen, di Blois, in varie date, più volte spostate.
La cattedrale di Bourges è la più grande testimonianza del profondo culto che lega la città al suo santo protovescovo Ursino. Le opere d’arte e di culto lì esistenti, sono tutto un inno alla devozione per il santo patrono.
A lui sono dedicate, una delle più celebri vetrate del XIII secolo e le sculture della Porta di Sant' Ursino del XV secolo, che narrano gli episodi culminanti del santo evangelizzatore del Berry. In altre opere d’arte custodite nel Museo di Bourges e nella chiesa di Lisieux (razzi e trittico), sono riprodotte scene della leggenda di Ursino, testimone all’Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ursino di Bourges, pregate per noi.  

*San Vitone di Verdun - Vescovo (9 novembre)
Martirologio Romano: A Verdun nella Gallia belgica, ora in Francia, San Vito, vescovo.
San Vitone (Vito o Vanni - in francese Vanne) vescovo di Verdun, nella cronotassi della diocesi di Verdun occupa l’ottavo posto, dopo San Firmino e prima di San Desiderato.
E’ stato nominato vescovo della diocesi di Verdun, nel 498 per volere del re dei Franchi, Clodoveo. La sua azione pastorale è sempre stata impostata nella piena accondiscendenza al re Clodoveo.
Nei pochi documenti storici e in tutta la tradizione, San Vitone viene ricordato come un buon vescovo.
Morì intorno al 529 e fu canonizzato nel IX secolo dal vescovo Attone.
E’ venerato come patrono della città francese dal VII secolo.
Per custodire la sua tomba, nel 951 il vescovo Berengario fondò un'abbazia (San Vito o Vanne) da cui ebbe origine nel 1598 la Congregazione benedettina dei Santi Vitone ed Idulfo, introdotta da Didier de la Cour per i monasteri omonimi.
La sua Memoria liturgica cade il 9 novembre. Dal 1976, la sua festa in diocesi è stata spostata al 12 ottobre, giorno in cui viene ricordato anche il protovescovo Santino.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vitone di Verdun, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (9 novembre)

*Beato Luigi Beltrame Quattrocchi

Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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